Approfondimenti
- I fondamenti dell’analisi dei costi e del controllo di gestione
- Il problema dell’imputazione delle spese generali
- Commesse: se sforiamo i tempi sforiamo i costi
- Commesse: quando i commerciali provocano lo sforamento dei costi
- Quando le distinte base non quadrano
- Le resistenze all’introduzione del controllo di gestione nelle PMI
- Il metodo di riduzione dei costi “success fee”
- Quando sono i progettisti a provocare lo sforamento dei costi
- Il controllo dei costi e dei risultati nei progetti di innovazione
- L’importanza del lotto d’ordine nell’analisi dei costi
- Le problematiche degli ammortamenti nell’analisi dei costi
- Le cinque risposte da chiedere ad un report di controllo di gestione
Le cinque risposte da chiedere ad un report di controllo di gestione
Analizzare un report di controllo di gestione
Quando si analizza un report di controllo di gestione bisogna ricordarsi che siamo davanti ad uno strumento di sintesi. Le ricerche, le contabilizzazioni, le elaborazioni e gli algoritmi sono stati l’analisi: il report è la sintesi. Il bravo controller ha saputo effettuare l’analisi per poi trasformarla in sintesi e chi lo analizza, traendone le informazioni per assumere le decisioni, deve poter pensare in modo sintetico.
Ma quale deve essere la sintesi su cui concentrarsi? In queste note ci focalizziamo su cinque domande di sintesi che dobbiamo farci ed a cui, ovviamente, il report deve rispondere.
Tante sono le cose da chiedersi e su cui operare, per cui la nostra elencazione non vuole essere tassativa, ma semplicemente evidenziare le prime cinque per importanza.
La prima risposta: come e dove abbiamo guadagnato
La prima risposta riguarda come abbiamo realizzato il nostro profitto oppure, speriamo non sia questo il caso, la nostra perdita. Questo sembra un aspetto scontato e banale, ma in realtà non lo è. Perché le risposte attese da un report dovrebbero essere sintetiche ma articolate. Su quali prodotti, in quali aree e, soprattutto, con quali clienti. Non dimentichiamoci che noi non vendiamo prodotti o servizi, ma soddisfiamo clienti. Quindi la risposta principale di un report deve essere “con quali clienti abbiamo guadagnato e perché” e “con quali clienti non abbiamo guadagnato e perché”. Parlando di clienti potremo intendere il singolo cliente, il segmento o la tipologia di clienti. In questo caso deve essere strettissimo il collegamento tra questi report e la parte commerciale e di marketing. Alla fine del gioco questo è quello che interessa, non i prodotti, ma i clienti, mentre i prodotti saranno “il mezzo” per guadagnare con i clienti che sono “il fine”.
Articolare i report perché ci forniscano questa risposta presuppone anche una lucida identificazione dei costi dei clienti. Si considerano costi dei clienti quelli non originati dalla produzione di un determinato bene, ma dalla gestione di un determinato cliente. Questi costi non ci sarebbero se non gestissimo quel cliente e quindi sui suoi report devono gravare. Pensiamo alle fiere fatte per certe categorie di clienti, alle trasferte, i trasporti, determinate azioni di promozione, ma anche certi costi di logistica o tempo perso in amministrazione per certe pratiche di particolari clienti. Sempre riferendosi ai clienti si intendono, come sopra detto, singoli clienti, categorie o segmenti di clientela.
Se alla fine ci interessa sapere su quali clienti abbiamo guadagnato, sono i centri di costo che devono adattarsi a questa classificazione per produrre report chiari e sintetici.
La seconda risposta: come si muovono queste risposte
Se quelle precedenti erano le risposte statiche, cioè la fotografia della situazione, la seconda risposta riguarda come questa situazione si muove. Un report non deve mai dire solo come è andata, ma anche come era andata le volte precedenti e come andrà le volte successive. Se la risposta di cui al punto precedente si basa sulla suddivisione dei costi tra costi prodotto e costi cliente, questa seconda risposta si gioca sul lato dell’omogeneizzazione dei dati. Per fare paragoni corretti, infatti, dati passati, presenti e futuri devono essere omogenei, altrimenti ogni confronto salta. Questo significa dati storici coerenti, ma anche dati futuri creati sulla base di simulazioni e scenari spesso condivisi con la direzione, cioè con il soggetto che poi questi report dovrà leggerli e utilizzarli. Quindi ogni dato letto nel suo andamento, nella sua tendenza, diventando quindi un’informazione fondamentale.
La terza risposta: a chi in azienda fanno riferimento queste risposte
Abbiamo avuto la nostra prima risposta (dove e come si guadagna), la seconda (quale è l’andamento temporale) adesso necessita la terza: a chi sono riferiti questi numeri in azienda. Un report rappresenta livelli di redditività, saldi, aree dell’azienda e suoi settori. Sia che questi numeri siano soddisfacenti, sia che non lo siano, vi deve essere un soggetto responsabile di ogni dato, di ogni saldo, di ogni risultato. Il report deve essere cioè strettamente collegato ed in simbiosi con l’organigramma aziendale. Il report trasforma dati in informazioni e le informazioni servono per poter prendere delle decisioni. Per prendere le decisioni bisogna avere dei compagni, membri del team, controparti. Se il report non è collegato con le persone questa catena decisionale si spezza e tutto si ferma. Organigramma, centri di responsabilità, aree di competenza e deleghe sono aspetti fuori dell’area del report, ma a cui si deve strettamente legare. Questo è un aspetto tecnicamente delicato in quanto non è così immediato collegare le aree di responsabilità delle persone con dei numeri, ma un report che serva a risolvere problemi e non solo a giustificare se stesso, non può prescindere da questo collegamento. Il problema è tecnico in quanto numeri e costi potrebbero essere la conseguenza di decisioni di più persone, ma anche culturale, perché legare le persone alle proprie responsabilità susciterà resistenze rilevanti.
La quarta risposta: cosa accade se …
Abbiamo detto più volte che il report struttura dati per creare informazioni che servono a prendere decisioni. Ma, per aiutare nelle decisioni, un report deve permettere di capire cosa succede se queste decisioni si prendono, what if come si dice nel mondo anglosassone. Bisogna infatti sempre ricordare che il report non è un fine ma un mezzo, uno strumento e quindi deve essere in grado di essere modificato, cambiato, rielaborato per definire nuovi scenari e nuove situazioni. Chi redige un report non deve pensare a fornire dei dati, ma deve entrare nella logica di chi il report lo usa per le decisioni, che poi è il proprio cliente interno. Quindi il report dovrà essere pronto per essere smontato e rimontato in base alle esigenze di chi deve prendere decisioni. Facendo qualche esempio, se ho un report di costo relativo ad un prodotto e mi arriva un’offerta molto bassa da parte di un cliente, devo sapere che se accetto un certo prezzo non recupero una parte di costo (per esempio la manodopera), oppure che se concedo un determinato sconto ad un cliente non recupero la quota di costi di marketing imputata a quel cliente. Determinate scelte, quali quelle relative all’alternativa “make or buy” cioè produco internamente o chiamo un terzista, dovrebbero trovare nell’uso del report agevole ed immediata risposta.
La quinta risposta: quale è la nostra complessità
Un’informazione importante che si attende dai report è la comprensione della complessità aziendale. La complessità oggi circonda tutta l’attività aziendale. Complessità significa un numero di clienti, di fornitori, di articoli di magazzino rilevante, una burocrazia pubblica presente in ogni aspetto della gestione, gli aspetti tecnici e di certificazione dei prodotti sempre più sofisticati, e così via. Il report deve farci capire questo aspetto sfuggente ma fondamentale. Ma chi genera le complessità? Spesso i clienti, talvolta il prodotto stesso, altre volte i fornitori, e talvolta l’azienda non si accorge di generare essa stessa complessità che poi le si ritorce immediatamente contro. Pensiamo agli innumerevoli aspetti della complessità. In produzione avremo i fuori standard, ma anche i piccoli lotti che generano molto lavoro a fronte di un valore limitato. Stessa cosa con la logistica, sia in entrata che in uscita, con l’aumento delle spedizioni a fronte della diminuzione del loro valore e così via per tutti i comparti dell’attività aziendale, dall’ufficio ordini all’amministrazione fino al commerciale.
L’aspetto cruciale della complessità, all’interno del report, deve avere una risposta importante: se la complessità è originata dal prodotto o dal cliente. Il dilemma è fondamentale, perché si tratterà di fornire l’informazione se ad essere poco remunerativo sia il fatto di fare un determinato prodotto o di servire un certo cliente. La maggior parte delle complessità sono originate dai clienti, altre volte dai prodotti o dai fornitori. In parte queste informazioni dovremmo averle già ricevute con la prima risposta del nostro elenco.
Ma andando oltre nell’analisi ci si chiede se questa complessità crei valore, al cliente o al prodotto, ovvero sia solo inefficienza. Anche in questo caso il report dovrà essere molto chiaro per fare capire se stiamo spendendo o, cosa differente, sprecando. E su questo passare le informazioni giuste al management che deve prendere le opportune decisioni.
Conclusioni
La reportistica è uno degli strumenti cruciali e fondamentali del controllo di gestione. Nella sua creazione si manifesta la grande dote del controller che deve allo stesso tempo essere strutturato e flessibile, due caratteristiche che, almeno all’apparenza, potrebbero sembrare antitetiche. Egli deve essere strutturato, per creare report chiari, sintetici, su cui non ci si debba concentrare per capire i numeri, ma solo per capire i problemi. Ugualmente deve essere flessibile, per trovare il modo di rappresentare problematiche che talvolta sono sfuggenti, come quelle relative alla complessità.
Nella creazione di un report bisogna mettersi sempre dalla parte di chi lo legge, affinché siano minime le domande di spiegazione del dato: se una domanda c’è significa che potremmo non essere stati chiari e quindi riflettere su un miglioramento. Talvolta basta poco, un colore, una colonna, una legenda in più per spiegare tante cose.
La chiarezza non sarà data dal grande numero di cose che scriviamo e rappresentiamo, anzi quello è spesso il percorso della non chiarezza. La chiarezza spesso si ottiene con il sistema “ad albero” il “drill down” come dicono gli informatici, in cui un dato mostrato come sintetico può essere esploso, se necessario, nella sua analisi.
Per rappresentare il senso di un report possiamo associarlo a due oggetti, a cui, contemporaneamente, deve assomigliare. Il primo è un giornale ben fatto, dove si acquisisce immediatamente il polso degli avvenimenti secondo una sequenza di importanza (senza dimenticare, come nel vecchio principio della stampa anglosassone, di separare i fatti dalle opinioni). Il secondo è un macchinario, che ha un suo uso, ma che posso variare, tarare, riattrezzare per fare differenti tipi di lavorazioni.
Come un giornale il report mi dice subito cosa sta accadendo. Ma per avere certe informazioni, può essere necessario calibrarlo, tararlo, riassemblarlo e a questa operazione il report deve essere pronto e disponibile.