Approfondimenti
- I fondamenti dell’analisi dei costi e del controllo di gestione
- Il problema dell’imputazione delle spese generali
- Commesse: se sforiamo i tempi sforiamo i costi
- Commesse: quando i commerciali provocano lo sforamento dei costi
- Quando le distinte base non quadrano
- Le resistenze all’introduzione del controllo di gestione nelle PMI
- Il metodo di riduzione dei costi “success fee”
- Quando sono i progettisti a provocare lo sforamento dei costi
- Il controllo dei costi e dei risultati nei progetti di innovazione
- L’importanza del lotto d’ordine nell’analisi dei costi
- Le problematiche degli ammortamenti nell’analisi dei costi
- Le cinque risposte da chiedere ad un report di controllo di gestione
Le problematiche degli ammortamenti nell’analisi dei costi
Il problema
Nell’analisi dei costi vi sono molte problematiche legate alla gestione degli ammortamenti. In queste note ne esamineremo alcune.
Come punto di partenza è necessario ricordare che l’analisi dei costi viene effettuata per fini interni, quindi senza alcun obbligo di legge. Questo significa che ogni valutazione in questo campo non deve rispettare obblighi, leggi o circolari, ma rispondere solamente alla legge del buon senso. Quindi le quote di ammortamento che devono entrare nella contabilità industriale non saranno quelle previste dalle norme fiscali, ma quelle valutate dai controller in base all’effettivo utilizzo e durata residua del bene.
Nel caso degli ammortamenti abbiamo un ampio spettro di dati rilevati ai fini fiscali, come il registro dei cespiti ammortizzabili, le aliquote fiscali di ammortamento, la storia dei beni stessi, con i loro fondi, i capitali residui etc.
La prima domanda che ci dobbiamo fare è cosa fare di questa massa di dati disponibili. Sicuramente non dobbiamo prenderli tutti per buoni, visto che sono nati sotto le direttive di leggi fiscali che non si applicano nel nostro caso. Altrettanto sicuramente, tuttavia, non dobbiamo disperdere e buttare via un patrimonio di dati e informazioni, un lavoro in parte già fatto come quello esistente. La scelta deve quindi essere effettuata volta per volta, andando ad esaminare l’equilibrio tra dati disponibili e la rielaborazione degli stessi in modo che rispondano meglio alle nostre esigenze. In genere si cercherà di rielaborare dati rilevanti come importo, ma limitati come numero di cifre da conteggiare, e si tenderà, specularmente, a prendere per buoni dati di importo limitato, ma presenti in grande quantità e la cui rielaborazione sarebbe onerosa e poco produttiva.
I beni già ammortizzati che ancora funzionano
Uno dei classici problemi che si affrontano nell’analisi dei costi è come comportarsi con i beni ammortizzabili che, dal bilancio, risultano completamente ammortizzati, ma che continuano a lavorare normalmente. Il problema è abbastanza controverso e viene risolto nelle varie aziende, in modo differenti. Facciamo l’esempio di un cespite che, secondo le norme fiscali e civilistiche, viene ammortizzato in cinque anni. Ipotizziamo di essere al sesto anno nel quale il bene, invece, funziona regolarmente. E’ un dato di fatto che negli anni precedenti siano stati accantonati ammortamenti in eccesso, visto che alla fine del periodo il bene continua a funzionare.
La prima linea di pensiero è quella di non inserire alcuna quota di ammortamento tra i costi. Questo ragionamento parte dal concetto che i costi siano già stati imputati, anche se in eccesso, e siano comunque finiti nei report degli anni precedenti. Imputare nuove quote di ammortamento significherebbe caricare nel periodo di vita del bene costi superiori al suo valore. Questa impostazione predilige di fatto l’aspetto formale, uniformandosi ai dati contabili passati.
Una seconda linea di pensiero si basa più su un dato sostanziale e meno formale. Se il bene al sesto anno ancora funziona, significa che in passato si sono effettuati ammortamenti eccessivi e quest’anno si farebbero ammortamenti troppo bassi. Quindi,secondo questa linea di pensiero, non ha senso fare un errore quest’anno solo perché si è sbagliato anche negli anni passati. Se il bene al sesto anno funziona, e lo farà, ad esempio, ancora per due ani, significa che la quota non era un quinto ma un ottavo, e questa deve essere la quota di quest’anno. Se la somma totale degli ammortamenti supera il valore del bene non deve esserci alcun problema, perché stiamo parlando di costi di quest’anno.
Entrambe le interpretazioni hanno una base di fondamento. Non inserire gli ammortamenti dell’anno è il sistema sicuramente più semplice e veloce e che tiene in considerazione la probabile maggiore incidenza delle spese di manutenzione su un bene che sta comunque lavorando ai limiti della propria vita operativa. La seconda linea di pensiero garantisce invece un dato sicuramente più giusto nel periodo interessato, anche se sono necessari appositi riconteggi non essendo più corretti quelli derivanti dalla contabilità generale.
La linea tenuta da molte aziende è quella di prendere per buoni i conteggi relativi agli ammortamenti passati della maggior parte dei cespiti, anche se questi continuano a funzionare. Questo prevalentemente per ragioni pratiche, evitando così laboriosi riconteggi di piccoli beni che potrebbero variare di poco o niente le risultanze di costo. Al contrario per una minima parte dei cespiti, ma di importo rilevante, viene riconteggiato l’ammortamento sulla base della durata effettiva, e stimata, del bene. A questo dato viene sottratta la maggior quota di spese di manutenzione effettuata nell’anno. In pratica si rileva che la maggiore durata del bene è stata realizzata anche grazie alle maggiori spese di manutenzione.
I beni in leasing
I beni che sono in leasing rappresentano spesso un altro caso in cui le risultanze contabili e formali non coincidono con quelle sostanziali. Come sappiamo il contratto di leasing prevede la corresponsione di un canone periodico a fronte dell’utilizzo di un bene che poi potrà essere riscattato alla fine del periodo. La proprietà del bene non appartiene all’utilizzatore, ma alla società di leasing. Guardando il dato formale non si accantonano ammortamenti, essendo il canone di locazione ad incidere sul conto economico. Alla scadenza del contratto la cifra del riscatto rappresenterà il valore da ammortizzare.
Se questa è la realtà formale, molte aziende analizzano invece la realtà sostanziale. Il bene di fatto è stato acquistato, ed inserito nel ciclo dell’azienda e la certezza che il riscatto verrà effettuato è assoluta. Partendo da questo concetto alcune aziende calcolano la quota di ammortamento sul valore del bene acquisito in leasing, in luogo del canone di locazione. Ugualmente, dopo la fine del contratto, continuano a conteggiare le quote di ammortamento sul valore del bene e non su quello di riscatto. Questa linea di condotta prevede una serie di conteggi che possono non essere immediati. Per questo motivo, come nel caso precedente, in genere questa procedura è limitata a pochi beni di importo rilevante e tralasciata per gli altri.
Ovviamente, come spesso accade parlando di costi, tutto dipende dalle opinioni, dai modi in cui si intende leggere il dato: per questo molte aziende, in alternativa, prediligono il dato formale e continuano ad intendere il costo come il solo canone di leasing.
I beni dell’imprenditore o dell’immobiliare di famiglia
Altra situazione particolare è quella in cui alcuni cespiti, in genere immobiliari, appartengano al titolare dell’impresa, ovvero ad una società immobiliare, che poi concede in locazione gli immobili all’impresa operativa. Ciò che accade in questo caso è che i valori possono essere falsati. I beni potrebbero essere dati in locazione a prezzi bassissimi, visto che si tratta sempre dello stesso proprietario dell’azienda, oppure a valori molto alti, come forma per ritirare un utile sotto altre forme. Nel caso dell’immobiliare, poi, il canone di locazione non è altro che quell’importo che permette all’immobiliare stessa di avere la copertura finanziaria per ripagare le rate dei mutui gravanti sugli immobili. Anche in questo caso la scelta è tra uniformarsi al dato formale, ovvero andare ad effettuare riconteggi per elaborare un valore sostanziale. In quest’ultimo caso le alternative potrebbero essere due. La prima consiste nel considerare gli immobili come se fossero di terzi, e ricalcolare gli oneri di locazione secondo parametri di mercato. La seconda è considerare gli immobili come se fossero dell’azienda, e sostituire ai canoni di locazione, eccessivi, troppo bassi o inesistenti, le quote di ammortamento relative al cespite. In questo ultimo caso, poi, dovrebbero essere anche inserite le spese di manutenzione e gli altri oneri relativi all’immobile.
Potremmo infine avere il caso di cespiti completamente fuori dal campo aziendale ma formalmente dell’azienda, ed in questo caso nessun ammortamento o spesa dovrebbe essere imputato ai centri di costo: parliamo di auto supersportive, ville personali, barche etc.
I differenti volumi produttivi
Un altro aspetto molto importante è la gestione degli ammortamenti dei beni in presenza di bassi livelli produttivi. Pensiamo ad un macchinario che è stato acquistato con un piano di utilizzo per 1.800 ore di lavoro in un anno. A seguito di un calo dell’attività produttiva il macchinario lavora per il 50% pari a 900 ore di lavoro. Potremmo avere due casi. In una prima ipotesi il macchinario potrebbe durare più a lungo e questo comporterebbe, semplicemente, una riduzione della metà dei canoni di ammortamento, essendo stata la sua usura pari alla metà del normale. In una seconda ipotesi il macchinario ha la stessa durata perché la fine della sua vita non è data dall’usura ma, per esempio, dall’obsolescenza tecnologica. In questo secondo caso comunque nell’anno la diminuzione del valore è stata la stessa, indipendentemente dal numero di ore di utilizzo. Secondo una logica aritmetica queste ore dovrebbero costare il doppio in quanto, mentre il valore è immutato, la base di ripartizione è dimezzata. Appare chiaro che questa conclusione è illogica, in quanto faremmo dipendere il costo di un’ora di lavorazione di un prodotto dall’effettuazione o meno di ore di lavorazione su altri prodotti. La soluzione adottata, generalmente, è quella di mantenere ferma la base di ripartizione per la quale il bene strumentale era stato acquisito (nel nostro esempio le1.800 ore). Il valore dell’ammortamento del macchinario (e degli altri costi fissi) verrebbe quindi diviso per 1.800 e moltiplicato per 900 tenendo quindi fermo il costo delle 900 ore effettuate. Resteranno fuori le altre 900 ore non imputate che non andranno ad impattare sulle ore effettuate, ma resteranno fuori, in un differente centro di costo riferito alla capacità produttiva non utilizzata. In sede di budget e di analisi delle responsabilità è cosa ben differente imputare un maggior costo di produzione ovvero una capacità produttiva non sfruttata per mancanza di fatturato.
Conclusioni
In sede di analisi dei costi molte sono le problematiche relative agli ammortamenti che spesso dipendono da opinioni o modo di vedere la realtà. Spesso queste scelte vengono risolte sulla base di esigenze pratiche, come per esempio l’esigenza di non caricarsi di conteggi complicatissimi che poco o nulla cambiano nella determinazione finale dei costi. E’ questo il caso, per esempio, della destinazione ai centri di costo delle quote di ammortamento di molti piccoli beni, quali arredamento, beni strumentali di valore limitato etc.: invece di un’inutile caccia alla loro destinazione nei vari centri di costo, viene spesso effettuata una suddivisione tra gli stessi in misura percentuale. Si ricorre insomma spesso a soluzioni non perfettamente in linea con una visione strettamente contabile, ma che evitano di perdersi in pagliuzze, permettendo invece di concentrarsi sulle informazioni importanti derivanti dalle analisi del controllo di gestione.